E’ strano
essere qui, davanti a voi, che per undici anni siete stati i miei compagni
di cammino a leggere la mia lettera della partenza. Già partenza, la
scelta di fronte ad un bivio, scegliere su quale strada voglio giocare la
mia vita. Sopravvivere nella quotidianità, imprigionato dalle molte cose
che cerchiamo per sfuggire al nostro senso di incompletezza, oppure,
rischiare, giocarsi fino in fondo, affidare la mia vita a Dio, accogliere
quello che è il suo progetto per la mia vita.
A inizio anno pensavo che i giochi fossero fatti, pensavo di aver
trovato la mia strada, ma piano piano grazie al clan e al servizio in
riparto sono riuscito a sentire la voce di un amico che per molti anni non
ho considerato e allora ho voluto affidarmi. Voglio accogliere il progetto
che ha su di me, voglio fare della mia vita una splendida avventura,
un’avventura rivolta agli altri, voglio vivere la mia vita da servo. Già,
essere servo, cosa significa questo? Me lo sono chiesto spesso, come pure
mi sono chiesto se chiedere la partenza. Cosa ha un servo di diverso dagli
altri uomini? Non ha nulla, neppure la sua vita gli appartiene, essa è del
suo padrone. Così dunque voglio vivere, avere una vita che non è più mia,
ma appartiene a coloro che ho
accanto.