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DUE PAROLE CON PADRE GIOVANNI... - AVVENTO 2005 




Lunedì 19 dicembre


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Giuseppe, figlio di davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa... (Mt 1,18-24)

La tradizione cristiana che insegna a chiamare attesa il tempo, propone l’Avvento come la professione dell’unica speranza disponibile, per tutti, anche per i giovani superflui. La speranza non è, piuttosto che invocazione, solo un gemito collettivo che è sintomo del disagio d’essere nella storia. La speranza è frutto di un incontro singolare: non è il gruppo o la compagnia che risponde. La voce che chiama alla speranza pronuncia un nome per volta e attende il momento per ciascuno. “Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3, 20). Nasce da questo incontro la speranza: non dipende dall’immaginazione di ciò che è possibile, ma dall’accoglienza di ciò che è vero; non aspetta condizioni favorevoli, ma si compie nell’obbedienza al compito assegnato. Chi trova la speranza non si perde nel deprecare come siano degenerati i tempi e insopportabili gli uomini: fa quello che può, e vorrebbe fare di più. Non lo sfiora più il sospetto d’essere superfluo, da quando è stato chiamato. E’ la storia di quel servo che, avendo ricevuto l’incarico, si dedica vigile al suo lavoro: sa che deve rendere conto e attende il ritorno del padrone. La speranza assume il tempo non come un presente da consumare, ma come l’irripetibile occasione per l’improrogabile obbedienza. In altre parole il tempo dell’Avvento parla della vocazione. I giovani superflui continueranno a bivaccare fastidiosi e indisturbati, non aspettando niente, finché non presteranno ascolto alla voce che chiama ciascuno per nome.

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